Lui non è partito, non è in viaggio, siamo noi che l’abbiamo incontrato per caso, per sbaglio, direi “per fortuna”.
Enzo non è stato mai coi piedi per terra. Il suo “mondo”, il suo vero pianeta era ideale, perfetto, incorruttibile. Non c’era violenza, non c’era bullismo, non c’erano sfruttatori, né poveri, né oppressi. Nel suo pianeta personale non vigeva la legge e la violenza del più forte, del più cattivo; assolutamente no. La sua terra, la sua patria vera era nel suo “pensiero”, dentro se stesso; l’aveva chiamata, ironicamente, Rexburg – gli chiesi ma cos’è? mi rispose: <il posto dove mi riposo, dove non lotto, dove mi ricarico> – rimasi a bocca aperta, pensai di aver conosciuto un marziano, un guerriero proveniente da un’altra galassia.
Sembrava figlio di un’altra era, di un eterno ’68, “libero come l’aria”, amava Gaber come fosse stato suo fratello, parlava di Gramsci e Casaleggio trovando relazioni invisibili fra i due. Non c’era argomento difficile, ingarbugliato, complicato – mi diceva: basta trovare l’estremità del filo e tutto si spiega – ma io di fili ne vedevo seimila, quale era quello giusto? E giù quindi con le telefonate, con le discussioni che iniziavano e che finivano un attimo dopo esser riuscito a vedere la punta del filo prima invisibile.
Sbalordiva Enzo, sbalordiva per la grinta, per la potenza delle sue parole, per la forza delle sue ragioni. E quando sbagliava gli bastava dire <aspè, mi sono sbagliato, sei da un’altra parte, non me ne ero accorto>. Ma tutto ciò inquietava le false coscienze, inquietava coloro che non hanno occhi per vedere i colori del mondo, sbrindellava i bigotti, disintegrava le regole non scritte, le certezze di chi vede solo travi negli occhi degli altri. E litigava, dibatteva, si agitava perché non accettava sconfitte. Non sopportava il bullismo dei prepotenti, non accettava che l’opinione del capo branco diventasse regola per tutti. Vincenzo era così, non si dava pace, non si arrendeva mai.
Ma non era solo un guerriero, un libero pensatore, una persona attiva nella società, anzi… Lui dava il meglio di se fuori dal ring, davanti ad un buon caffè, consigliando l’ultimo libro letto e l’ultima musica ascoltata. Con quel sorriso da “Bianchini” ti sparigliava le battute, non riuscivi mai a tenergli testa. La lucidità delle sue freddure non erano geniali, erano disarmanti. E mi arrendevo all’evidenza. Con il Bianchini tutto è perduto! Qualsiasi forma di difesa era inutile…
Perdiamo un Amico, perdiamo un Compagno, perdiamo un Esempio di vita, perdiamo mille cose insieme, in un sol colpo. Perdiamo il suo sguardo, la sua profonda e genuina bontà, perdiamo il suo pensiero, i suoi consigli, le sue dritte – stà cosa falla accussì – perdiamo la possibilità di ascoltarlo, perdiamo il suo allucinante sorriso. Parlava, sbraitava, urlava e ti sorrideva, e con quel sorriso ti accarezzava, ti cercava, ti trasmetteva affetto, limpido, puro.
Il Bianchini non va via, il Bianchini vivrà con noi, dentro ognuno di noi, fraterni amici per sempre. Perché Enzo era fedele, fedele alla linea, fedele nei sentimenti, fino all’impossibile. E quando subiva un torto, non ci faceva caso, ci rassicurava e diceva <ma no… non preoccuparti non lo fa per male, ci vogliamo bene, la sua è una strategia, vedrai che me lo ritroverò accanto, sta aspettando solo il momento giusto>.
Un grande, un grande uomo, una bella persona, una brava persona! Che ripiangeremo!
E’ difficile accettarlo, ma è così, la perdita è immensa.
Inutile far finta che non sia così.
(Biagio Battaglia e Stefania Campo)