Nel mondo solo il 23,3% dei parlamentari è donna. Il dato riportato dal Global Parliamentary Report 2017, ci indica quanto la questione della rappresentanza di genere in politica e nelle Istituzioni sia ancora attuale. Troppo spesso, nel comune sentire, l’esigenza della rappresentanza di genere viene percepita in maniera decisamente distorta. Le donne vengono rappresentate superficialmente come una minoranza alla ricerca della parità, una “quota” che deve essere presente quasi più per forma che per sostanza, niente di più e niente di più sbagliato. Partiamo dal presupposto che il rapporto fra la popolazione maschile e quella femminile è quasi 1 a 1, nello specifico nel mondo si contano circa 3,65 miliardi di donne contro 3,72 miliardi di uomini, motivo per cui anche le donne rappresentano interessi generali e non di “minoranza”. L’aumento del numero delle donne all’interno delle Istituzioni non è sicuramente garanzia di un cambiamento in positivo, ma è una condizione necessaria alla democrazia stessa e alla sua qualità, poiché chi è chiamato a rappresentare i cittadini dovrebbe, per quanto possibile, attraverso la propria personalità, sensibilità, bagaglio culturale e professionale, rappresentare e interpretare le differenze sociali, economiche e culturali, la pluralità di bisogni della popolazione.
Le cause del divario di genere si possono riassumere nei seguenti ambiti:
– fattore politico: il sistema dei partiti politici non incoraggia nei fatti, quindi nel sistema di reclutamento o nella composizione delle liste, la partecipazione delle donne in politica con la dignità dovuta, che vada oltre la questione “quota” che “deve” essere assicurata nel rispetto delle leggi vigenti. I partiti sono generalmente funzionali ai loro leader, quasi esclusivamente uomini, la comunicazione politica stessa è al maschile;
– fattori sociali: in un contesto in cui vi è già una grande difficoltà nella conciliazione dei tempi casa-lavoro, a causa di politiche a sostegno della genitorialità molto spesso carenti, appare ancora più difficile trovare un equilibrio fra i “tempi della politica” e i “tempi delle donne”;
– fattori culturali e psicologici: la tendenza a sminuire le proprie capacità e competenze da parte delle donne, spesso determinata da stereotipi e convinzioni radicate sbagliate dovute al contesto culturale e/o da un insufficiente supporto da parte dei partiti, della famiglia e della cittadinanza, vedono la mancanza di autostima come una delle motivazioni della scarsa partecipazione delle donne in politica. A queste considerazioni, si può affiancare l’assenza di identificazione delle donne nei confronti dei modelli politici dominanti, molto spesso maschili.
Con la legge regionale 7/2005 per essere eletti all’Assemblea Regionale Siciliana sono state previste quote di lista in cui ogni lista provinciale non può includere un numero di candidati dello stesso sesso superiore a due terzi del numero dei candidati da eleggere nel collegio, nonché l’alternanza dei nomi dei candidati per genere dopo il capolista nel cosiddetto “listino del Presidente”. Lo sconfortante dato che ci mostra che dal 1947 al 2017, ovvero nei 70 anni delle 17 legislature, su 811 deputati solo 46 sono state le donne elette all’Assemblea Regionale Siciliana, si evince inoltre, che il “boom” della presenza di donne elette ha inizio solo a partire dalla XVI Legislatura, si ricorda con l’elezione di 15 su 90 deputati, il 16,6%, di cui presenza maggiore ad inizio legislatura si registra fra le fila del Movimento 5 Stelle, con 6 donne su 15 deputate, ovvero il 40%. Successivamente, nella XVII legislatura, si riscontra l’elezione di 16 donne su 70 deputati, il 22,8%, con 8 donne elette nella sola lista del Movimento 5 Stelle su 20 deputati, confermando il 40%. I risultati sopra esposti, meritano una riflessione se si pensa che con la medesima normativa, relativa al rispetto della parità di genere, durante la XV legislatura vediamo l’elezione di sole 4 donne su 90 deputati, ovvero il 4,4%.
Generalmente all’interno degli schieramenti politici la scelta per le composizioni delle liste compete alla direzione o al coordinamento, nonché al Segretario regionale del partito. Volendo, invece, analizzare i dati relativi al rilevante risultato del Movimento 5 Stelle, in merito alla rappresentanza di genere, si riscontrano informazioni interessanti che riguardano soprattutto le modalità di composizione delle liste. Il Movimento 5 Stelle siciliano, infatti, relativamente alle elezioni regionali 2012, per formare le liste provinciali ha utilizzato un metodo di selezione dove gli aspiranti candidati avevano l’opportunità di pubblicare in un’apposita pagina web il proprio CV, per essere votati da tutti i meetup siciliani esistenti nel corso di un’assemblea regionale. Di conseguenza, i componenti delle liste sono stati inseriti in ordine di votazione e da questo presupposto si rileva che al netto della presenza come capolista di Giancarlo Cancelleri (candidato alla Presidenza della Regione) le donne hanno raggiunto il maggior numero di preferenze rispetto agli altri candidati della lista di appartenenza. Esaminando, invece, i risultati del Movimento 5 Stelle siciliano per la XVII legislatura, in riferimento al metodo di selezione interna, questa volta le liste provinciali sono state composte attraverso una votazione online tra gli iscritti dei collegi di appartenenza al portale www.movimento5stelle.it, tenendo sempre presente che potevano proporre la propria candidatura gli aderenti che rispondevano ai requisiti previsti dal regolamento del Movimento stesso. Si riscontra che su 9 collegi siciliani ben 6 liste provinciali registrano la presenza di donne a prescindere dalle quote di genere previste dalla norma regionale, inoltre, vediamo 3 capolista di genere femminile. Inoltre, in merito ai risultati delle elezione regionali tenute in Sicilia il 5 novembre 2017, vediamo che fra le 8 donne elette fra le fila dei 5 stelle diverse di loro sono state le più votate tra i candidati della lista di appartenenza.
I suddetti dati mostrano in modo inequivocabile che:
- sussiste una predisposizione da parte dei cittadini a voler votare le donne (sia nell’ambito delle dinamiche interne al movimento in oggetto, sia in riferimento all’elettorato siciliano);
- è presente una maggiore possibilità di emergere rispetto alla proprie capacità e al proprio percorso all’interno della forza politica in questione, riscontrando un riconoscimento da parte della “base”;
- la presenza delle deputate M5S all’interno del Parlamento siciliano è riuscita ad andare oltre gli strumenti introdotti dal legislatore per garantire la rappresentanza di genere.
Quanto finora trattato mostra che per quanto sia stato utile l’inserimento da parte dei legislatori, nazionali e regionali, di strumenti volti a garantire una maggiore rappresentanza di genere, le norme non bastano, la promozione di una parità effettiva deve essere accompagnata da un processo “culturale” e “sostanziale”, ci si deve cioè con molta onestà domandare se la “politica al femminile” sia riuscita ad apportare un incremento della qualità della decisione parlamentare. Naturalmente non si tratta di una valutazione semplice da fare, mancando indici oggettivi sui quali basarla. Ed è altrettanto vero che, come da sempre sostenuto, le donne non devono essere presenti in Parlamento per rappresentare le donne e che sarebbe pertanto sbagliato svolgere questa valutazione guardando unicamente all’incidenza che ha avuto l’incremento della componente femminile in Parlamento sui “temi femminili”. A tal proposito, anche alla luce di quanto raccontato ed elencato precedentemente, al fine di apportare efficaci e sostanziali miglioramenti rispetto al tema in oggetto, si ritiene prima di tutto d’obbligo una presa di coscienza e un relativo impegno in merito da parte delle forze politiche e delle loro dinamiche interne. Contestualmente bisogna lavorare su altri due fronti non meno indispensabili, uno relativo alle politiche familiari, quindi a quelle misure che possano dare un supporto nella conciliazione fra l’essere un genitore e l’attività politica, si pensi ad esempio alla necessità di creare asili nido all’interno delle sedi istituzionali, l’altro relativo all’aspetto che riguarda l’autostima e la cultura della donna, nonché la presa di coscienza rispetto alla proprie potenzialità e possibili ambizioni, da incentivare ad esempio con l’avvio di percorsi di formazione politica e la creazione di reti locali di sostegno. In conclusione, con le opportune iniziative si reputa possibile immaginare delle candidature di donne consapevoli, nate da un percorso politico o di attivismo nella società civile, quindi la possibilità di pensare a delle candidature cariche di significato. Riportando una citazione di Hillary Rodham Clinton, candidata nel 2016 alla Presidenza degli Stati Uniti d’America: “ Le donne sono il più grande serbatoio inutilizzato di talenti del mondo. È giunta l’ora che prendano il posto che spetta loro, là dove si decide il destino della loro gente, dei loro figli e nipoti.”
(Abstract della tesi di Laurea in Scienze Politiche di Claudia la Rocca a cui vanno i miei ringraziamenti)