M5S e alleanze? Una sola ruota non muove il carro (Chanakya)

18 Ago 2020

Con le ultime votazioni su Rousseau si ratifica che il nostro Movimento ha inteso perseguire un rapporto, sempre più strutturato nei confronti del Partito Democratico e della Sinistra in generale. Comprendete tutti benissimo che, a prescindere dalla formazione culturale e valoriale di ognuno di noi, attivisti e portavoce 5 stelle, ciò che incide direttamente sulle variabili politiche e di coalizione possibile è innanzitutto il contesto reale che viene costruito da tutte le forze in campo, contemporaneamente, in un dato periodo.

La decisione del Movimento di dar vita al primo governo Conte con la Lega nacque da una serie di necessità non aggirabili, non rinviabili: far valere il 33% del voto degli italiani che chiedevano al Movimento di governare il Paese, impedire la nascita di un governo “tecnico” guidato da Cottarelli, dalla finanza e da organismi europei e internazionali (la cosiddetta Trojka) e, soprattutto, dimostrare a tutte le forze politiche (in primis al PD) che dal 2018 non sarebbe più stato possibile costruire governi senza la partecipazione della prima forza politica nazionale, ovvero, non sarebbe stato più possibile denigrare, diffamare, ridicolizzare il voto di più di 10milioni di cittadini elettori. Sappiamo tutti come finì quella prima fase di governo con la Lega e con Salvini. Nonostante tutti i nostri buoni propositi, e certe cessioni di obiettivi, i leghisti puntarono tutto sulla caduta di Conte e un ritorno veloce alle urne, per garantirsi finalmente un governo di destra – che noi eravamo riusciti a impedire e ad arginare per un anno intero – a trazione nordista e xenofoba, con il miraggio di un Salvini premier incontrastato. Questa era la “realtà” che affrontammo in quel periodo: con grande disagio, con grande apprensione, con coraggio e abnegazione, anche perdendo un sacco di consenso elettorale, come sappiamo.

Da quel momento è successo qualcosa che appare, ancora oggi, incontrovertibile e non sanabile. La Lega si è posta l’obiettivo di governare con il centrodestra unito, come ai bei tempi di Berlusconi, Dell’Utri, La Russa, Gasparri e compagnia bella, sia a livello nazionale che nei territori, regioni, città e comuni. Imponendo, come discriminante, la leadership di Matteo Salvini: a questo proposito basterebbe citare l’esplicito e repentino inginocchiamento di Musumeci ai leghisti nella nostra Isola per verificare la fondatezza della nostra opinione. Cosa fare quindi?

Presentarsi sempre da soli in ogni tornata elettorale? Sia nelle regioni che nelle grandi città, sia a Roma che a Torino? Darla vinta a priori, quindi, a Salvini, alla Meloni e al sempiterno Berlusconi? Perché di questo stiamo parlando. Ovvero, di arrenderci all’avanzata della destra in tutta Italia senza giocare alcuna partita decisiva. Per non parlare del pericolo di un ulteriore, ancor più profondo, radicamento nei territori da parte del centrodestra che, cavalcando il malcontento – fomentato ad arte – di certe categorie professionali, rappresenterebbe veramente il loro trampolino di lancio per le prossime elezioni nazionali e la fine dell’esperienza, straordinaria, condotta e guidata dal nostro Giuseppe Conte.

Ecco, dunque, il perché della necessità di un rapporto strutturato con la Sinistra e il Partito Democratico. Sia sui territori che a livello nazionale, come saldatura dell’attuale governo Conte e come base di partenza per una piattaforma politica di incisivo progresso culturale e di forte innovazione industriale, tecnologica, infrastrutturale. Non si tratta quindi di fare politica “al ribasso”, di cedere alle richieste di “bassa lega” del Partito Democratico, di accontentare gli appetiti dei soliti professionisti della politica locale, comunale, territoriale. Di recitare un ruolo di comparsa nei teatrini politici dei piccoli comuni di provincia, dell’entroterra, delle grandi città e di quelle metropolitane, e magari di diventare carne da macello pur di rispettare accordi presi a livello nazionale.

Noi ci dovremo battere, altresì, per alleanze coerenti, in ogni singolo comune, per dare voce ai soggetti e alle categorie più fragili e in difficoltà – come abbiamo fatto, da soli, fino ad adesso – per consolidare la presenza del Movimento e i nostri principi dentro le istituzioni locali. Questo si potrà fare bene e senza rimpianti, ne siamo certi, solo se saranno gli attivisti dei territori stessi a decidere in ampia e piena autonomia. Esercitando il loro esclusivo diritto di voto sul sistema operativo Rousseau, sempre e incondizionatamente, così come fra l’altro avviene ogniqualvolta si è dovuto modificare lo statuto nazionale del Movimento stesso.  Solo gli attivisti conoscono il proprio territorio, hanno memoria degli accadimenti istituzionali e sociali della propria cittadina, hanno il polso delle forze in campo, “sentono” cosa accade, e cosa si dice, nelle piazze e per le strade dei quartieri, nei mercatini e in centro. Di certo ci saranno centinaia di località dove un accordo elettorale con il PD sarà a dir poco impossibile da costruire; si potrà provare ma, chiaramente, senza cedere nulla sul piano dei valori, dell’onestà amministrativa e delle becere ambizioni politiche e di potere di questo o di quel signorotto di turno.

 

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